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Approfondimenti
a cura di Francesco Paolo Forti
Verso il federalismo scolastico
di Giancarlo Cerini
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 Ultimo aggiornamento: Gennaio 2002
 

Verso il federalismo scolastico
Educazione&Scuola - Riforme On Line

Certamente, oggi, non possiamo "non dirci federalisti": perché ci viene  naturale associare il federalismo alle più alte espressioni della democrazia  politica, ai principi di autogoverno e di responsabilità diffusa nella  gestione della "cosa" pubblica, appunto della "res publica". Il federalismo,  in questa ottica, rappresenta la concreta realizzazione di una  "cittadinanza" compiuta, cioè possibilità di una consapevole partecipazione  di tutti i cittadini ai processi decisionali sul futuro della propria  "città" (nel senso ampio di "polis"). Viceversa: lo statalismo centralista,  dopo le cattive prove date di sé nel secolo scorso, ci ricorda la presenza  di un "grande fratello" illiberale e intrusivo, piuttosto che le ragioni  della solidarietà e del welfare. Il problema è, però, un altro: se le concrete forme di federalismo verso le  quali ci stiamo avviando nel nostro paese, con la riforma della Costituzione  (Legge dello stato n. 3 del 18 ottobre 2001, a seguito del Referendum  confermativo) ed in previsione di una più accentuata attribuzione di poteri  legislativi alle Regioni (preannunciata nel disegno di legge approvato dal  Consiglio dei Ministri il 13 dicembre 2001) siano rispondenti a questi  principi, se cioè rappresentino una espansione di qualità della democrazia,  di migliore tutela dei diritti dei cittadini, di effettiva espansione di  opportunità e di uguaglianza. E quindi se la riforma della Parte II della  Costituzione (gli ordinamenti, le strutture organizzative, ecc.) sia in  grado di meglio avvalorarne la Parte I (i "principi fondamentali" che non  sono -al momento- oggetto di ripensamento, semmai in attesa di una reale  attuazione).

Nel settore di nostro interesse (l'istruzione e la formazione) la domanda  non è oziosa, perché il diritto all'educazione è uno dei diritti  fondamentali di cittadinanza, una delle condizioni per una effettiva  partecipazione delle nuove generazioni alla vita sociale, civile e culturale  del proprio paese. Il federalismo in campo scolastico è in grado di realizzare al massimo  livello possibile questi diritti oppure esistono rischi di involuzione, di  separazione, di riduzione di opportunità, perché troppo condizionate dai  diversi profili regionali dei sistemi scolastici ? Ancora: le leggi "federaliste" che si stanno ora scrivendo, non sono forse  ammantate di una certa ingenuità, cioè dalla convinzione che basti  introdurre una qualche forma di federalismo nelle nostre istituzioni  pubbliche in omaggio al principio di sussidiarietà (e quindi di  decentramento, di autonomia, di responsabilità locale) per migliorarne la  qualità e la resa ? Gli esempi che ci provengono da alcuni sistemi scolastici ad alto tasso di  federalismo (pensiamo a quello statunitense) ci dovrebbero consigliare una  maggiore prudenza.

Proprio i sistemi più decentrati, negli ultimi anni hanno  reintrodotto forme di governo "unitario" e "nazionale", per risalire la  china di una qualità perduta. Le ricerche internazionali sulla qualità dell'istruzione mettono in evidenza  come, al di là delle architetture di sistema, sia decisivo il tipo di  investimento pubblico (emotivo, psicologico, culturale, finanziario) che un  paese intende dedicare al proprio sistema formativo. La percentuale del  Prodotto nazionale lordo investito sull'istruzione diventa una variabile che  fa la differenza, al pari però dell'attenzione ai problemi dell'educazione  "pubblica", del considerarla un fattore di inclusione (o di esclusione), di  integrazione sociale e culturale (o di separazione), di promozione di  opportunità (o di selezione precoce dei "talenti"). Questa opzione sui valori viene ancor prima del modello istituzionale  prescelto, anzi può illuminare il "senso" delle scelte da compiere sul piano  istituzionale.

Il paese delle tre Costituzioni
Dopo una stasi durata alcuni anni (contrappuntata dall'esperienza  improduttiva della Commissione Bicamerale) il processo di riforma  costituzionale è stato vigorosamente accelerato nel corso del 2001, con l'  approvazione in extremis di legislatura di un progetto di riforma del Titolo  V della seconda parte della Costituzione (poi confermato dal Referundum e  quindi diventato Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001). Più  recentemente, nel Consiglio dei Ministri del 13 dicembre 2001, è stato dato  il via libera ad un Disegno di Legge di ulteriore modifica della  Costituzione appena riformata (meglio conosciuto come "devolution", in  omaggio al "battage" in proposito intrapreso dal Ministro proponente Bossi). Entrambi i provvedimenti (il primo con una sua cogenza giuridica immediata,  il secondo ancora una semplice proposta da sottoporre ad un complesso iter  parlamentare) implicano notevoli cambiamenti in materia di "istruzione",  fino a delineare un assetto istituzionale di stampo federale (cioè con  competenze legislative in certi campi dell'istruzione attribuite in via  esclusiva alle Regioni).

Il cambiamento è così repentino che diventa perfino difficile cogliere le  possibili implicazioni delle diverse versioni di Costituzione sulla vita  della scuola. In effetti, siamo in presenza di tre Costituzioni (quella del  1948, quella modificata nel 2001, quella in via di ulteriore riforma), con  evidenti sovrapposizioni e con difficoltà per gli stessi esperti di diritto  costituzionale a dirimere eventuali conflitti e divergenze di  interpretazioni. Ad esempio, la legge della Regione Lombardia sul "diritto allo studio"  (alias "buono scuola") lede o meno l'attuale (o la futura ?) Carta  costituzionale ? I due governi nazionali che si sono avvicendati nel corso del 2001 hanno  agito in maniera diametralmente opposta, visto che mentre il primo aveva  impugnato la legge di fronte alla Corte Costituzionale, il secondo ha  abbandonato il precedente ricorso. Analogamente potremmo dire circa le  prospettive di riforma dell'ordinamento della scuola: eventuali nuovi cicli  scolastici (che implicano anche il contestuale ripensamento della "filiera"  professionale) non possono essere pensati a prescindere dall'apporto del  sistema delle Regioni e degli Enti locali (e non è un caso che, su questo  punto, l'elaborazione della Commissione Bertagna -dicembre 2001- abbia  suscitato una vivace reprimenda -di metodo- da parte dei "governatori"  regionali).

Si registra ormai una tendenza verso una maggiore responsabilità delle  "periferie" nel campo dell'istruzione (chiamiamolo "federalismo"  scolastico), ma resta aperto l'esito di questo movimento: avremo un  federalismo competitivo, con le Regioni "forti" intenzionate ad erodere  sempre maggiori poteri allo Stato centrale, oppure un federalismo  cooperativo e solidale, ove cioè prevarranno le ragioni della collaborazione  e della coesione tra i diversi territori ? Il fatto che entrambe le proposte  di riforma costituzionale (una già legge dello Stato, l'altra ancora in  embrione) prevedano un federalismo a geometria variabile, cioè con la  possibilità di diversi stadi di avanzamento nell'acquisire autonome  prerogative legislative, sembra -al momento- segnalare la "spinta" delle  Regioni più forti (più pronte a praticare il federalismo) a sganciare i loro  vagoni dal convoglio nazionale, perché giudicato troppo lento.

Sta di fatto che l'equilibrio raggiunto con la legge 15 marzo 1997, n. 59  (non a caso definita del "federalismo amministrativo" o del "federalismo a  Costituzione vigente"), con una tripartizione di funzioni tra lo Stato, le  autonomie locali (Regioni ed enti locali) e le Istituzioni scolastiche  autonome (un tridente cui ha fatto riferimento anche il Ministro Moratti  nelle sue dichiarazioni programmatiche al Parlamento nell'estate 2001),  sembra già messo in discussione prima ancora di essere concretamente  attuato. Le nuove deleghe agli Enti locali, infatti, dovrebbero decorrere  dal 1° settembre 2002. Anche la connessa riforma della amministrazione della  [Pubblica] Istruzione, di cui al regolamento approvato con il Dpr 6 novembre  2000, n. 347, è di fatto messa in mora perché non si è in grado di darvi  pratica attuazione dal 1° gennaio 2002. Per inciso, da tale data dovrebbe  decorrere la nuova intelaiatura degli organi collegiali territoriali  (consigli scolastici locali, consigli scolastici regionali, consiglio  nazionale della pubblica istruzione), ma l'esecutivo ha richiesto una delega  per una nuova ristesura del decreto (DLvo 233/1999). Come si può notare siamo di fronte ad un panorama normativo alquanto  perturbato (per non dire "scoppiato"), che va ben al di là delle turbolenze  dovute ad un fisiologico ricambio di legislatura. Sono certamente in discussione questioni di rilevanza costituzionale, ma la  scuola è costretta a vivere un'ennesima stagione di incertezze, dove l'  apparizione continua di nuovi orizzonti e di nuovi scenari, in mancanza di  primi tangibili risultati, produce un effetto di straniamento e di  disillusione rispetto alle tante riforme "preannunciate" e poi "disattese". Conviene, allora, ricostruire le fila del discorso, provando a documentare l  'evoluzione del quadro normativo costituzionale e delle norme attuative per  riscontrarne motivi di continuità e di discontinuità e prevederne quindi l'  impatto sulla realtà scolastica.

La Costituzione del 1948
I padri costituenti dedicarono alla scuola ed alla formazione pochi ma  essenziali enunciati. Innanzi tutto gli articoli 33 e 34, specificamente  volti a delineare l'impianto culturale del sistema scolastico pubblico ("la  scuola è aperta a tutti"), e con una forte insistenza sul ruolo della  Repubblica nella promozione diretta della scolarizzazione e nella  definizione delle regole (le "norme generali") per tutto il sistema  formativo (pubblico e privato). Alcune prescrizioni appaiono certamente  datate, come il richiamo ad "almeno otto anni" di scuola obbligatoria (ma  come non ricordare le polemiche di "Lettera ad una professoressa" circa il  mancato raggiungimento di questo pur elementare diritto costituzionale) o il  severo riferimento ai "capaci e meritevoli" che sarebbe troppo facile  contrapporre al gettonatissimo "diritto al successo formativo" di oggi. L'  attuazione del dettato della Costituzione del 1948 è stato un punto d'onore  per molte forze politiche e culturali, come ha più volte ricordato il  ministro Tullio De Mauro (cfr. T.DM, Scuola secondo Costituzione, in  "Insegnare", n. 9, 1990: la versione on line è stata curiosamente "cassata"  dal sito del Ministero), sferzando le commissioni incaricate di redigere i  nuovi curricoli. E resta un traguardo ancora da realizzare, soprattutto se  si confronta la funzione svolta dalla nostra scuola con i primi 12 articoli  della Costituzione (una piattaforma valoriale capace di dare un senso forte  ad ogni politica scolastica democratica).
Art. 33 La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole  statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di  educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli  obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad  esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a  quello degli alunni di scuole statali.
Art. 34 La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e  gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere  i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto  con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono  essere attribuite per concorso.

Ma la Costituzione contiene anche prescrizioni più dettagliate, come quelle  relative alla istruzione professionale (con un'ampia delega alle Regioni) o  al decentramento di funzioni e di competenze nella prospettiva di una piena  valorizzazione delle autonomie locali. Anche in questi casi si sono dovuti  registrare molti ritardi e qualche divergenza nell'interpretazione del testo  costituzionale. Ad esempio, non sempre è stata condivisa la lettura  "restrittiva" che ha affidato alle Regioni (con la legge 845/1978) solo  alcuni frammenti della formazione professionale, quelli più fragili e più  legati alle domande "adattive" del mercato del lavoro (e riservando l'  istruzione professionale all'intervento dello Stato, con ingenuo  scandalo -nelle ultime settimane- di Norberto Bottani, esperto europeo all'  interno della Commissione Bertagna).
Art. 117 La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei  principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme  stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di  altre Regioni: . istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; .
Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di  emanare norme per la loro attuazione.
Art. 118, comma 2 .Lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre [oltre a  quelle connesse alle materie di cui all'art. 117] funzioni amministrative. Decentramento ed autonomia sono state pienamente valorizzati solo con la  legislazione degli anni '90, a partire da Massimo Severo Giannini e Sabino  Cassese, fino a Bassanini. Ma il travaglio per giungere al riconoscimento  dell'autonomia funzionale alle istituzioni scolastiche è stato lungo e  complesso e nemmeno oggi si può dire concluso.

Mancano, infatti, i "pezzi"  più pregiati del Regolamento dell'autonomia (come le regole per la  costruzione del curricolo, l'organico funzionale, i compiti degli organi  collegiali, ecc.). Il processo, però, si è avviato con decisione a partire  dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 che, non a caso, disegna un profilo  complessivo dei nuovi rapporti tra le istituzioni pubbliche, improntandole  ai principi di responsabilità, sussidiarietà, efficienza ed efficacia,  trasparenza. In questo quadro si colloca e si capisce "meglio" il  significato dell'autonomia scolastica, che non è autarchia, privatizzazione,  liberismo, localismo, ma pieno riconoscimento di responsabilità ed  iniziativa "locale", però in un quadro fortemente unitario e garantito dal  ruolo dello Stato e delle sue articolazioni periferiche.

Va, infatti, menzionata la scelta di non "regionalizzare" o  "municipalizzare" la pubblica istruzione (scelta che si coglie nettamente  all'interno della legge 59/97), ove lo spostamento dei "poteri" dell'  amministrazione scolastica statale si dirige verso le singole unità  scolastiche (questo sembra giustificare il conferimento della qualifica  "dirigenziale pubblica" ai capi di istituto), piuttosto che verso gli enti  locali (per essi è previsto semmai l'esercizio di funzioni "integrate", di  comune interesse tra scuola ed enti locali). Legge 15 marzo 1997, n. 59 Art. 1, comma 3 Sono esclusi dall'applicazione dei commi 1 e 2 [conferimento alle Regioni e  agli Enti locali di : "tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi  alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive  comunità"] le funzioni e i compiti riconducibili alle seguenti materie: .. q) istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici,  organizzazione generale dell'istruzione scolastica e stato giuridico del  personale; .

Art. 21, comma 1 Ai fini della realizzazione della autonomia delle istituzioni scolastiche le  funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica  istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando  i livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio nonché  gli elementi comuni all'intero sistema scolastico pubblico in materia di  gestione e programmazione definiti dallo Stato, sono progressivamente  attribuite alle istituzioni scolastiche. E' bene ricordare che la "devolution" alle Regioni compiuta con la legge  59/97 (e confermata nella normativa secondaria) si riferisce a funzioni di  carattere legislativo solo in quanto già previste dall'art. 117 della  Costituzione (es: istruzione professionale e assistenza scolastica),  altrimenti si limita ad un più modesto potere di emanare norme attuative.

Il  decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 (esplicativo delle deleghe di  cui alla legge 59/1997) ribadisce dunque il ruolo dello Stato in una serie  di materie strategiche, individuate dall'art. 137, e concernenti: i criteri e i parametri per l'organizzazione della rete scolastica, previo  parere della Conferenza unificata; le funzioni di valutazione del sistema scolastico; le funzioni relative alla determinazione e all'assegnazione delle risorse  finanziarie a carico dello Stato e del personale alle istituzioni  scolastiche; le funzioni di cui all'art. 138, comma 3 [accademie, conservatori, ecc.]. Per tali materie non solo non è prevista alcuna "devolution" di carattere  legislativo alle Regioni, ma neppure il conferimento di funzioni  amministrative.

Tali funzioni infatti (art. 138) si limitano alla  programmazione dell'offerta formativa integrata, alla programmazione della  rete scolastica, alla definizione degli "ambiti funzionali" al miglioramento  dell'offerta formativa, ai contributi alle scuole non statali, alla  formulazione del calendario scolastico. Altri compiti sono poi attribuiti  alle province ed ai comuni (art. 139) in merito all'arricchimento ed alla  qualificazione dell'offerta formativa (che esclude, però, un intervento  diretto in materia di curricoli). Anche la definizione di "formazione professionale", contenuta nell'art. 141  dello stesso decreto, è coerente con una pluridecennale interpretazione  normativa che riassorbe e delimita la dicitura di "istruzione artigiana e  professionale" contenuta originariamente nella Costituzione.

La formazione  professionale si riferisce al "complesso degli interventi volti al primo  inserimento, compresa la formazione tecnico professionale superiore, al  perfezionamento, alla riqualificazione e all'orientamento professionali,  ossia con una valenza prevalentemente operativa, per qualsiasi attività di  lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli  istituti professionali, (nel cui ambito non funzionano corsi di studio di  durata quinquennale per il conseguimento del diploma di istruzione  secondaria superiore), la formazione continua, permanente e ricorrente e  quella conseguente a riconversione di attività produttive".

La Costituzione del 2001
Quando è ancora tutta da interpretare la materia delegata alle Regioni dalle  leggi e dai decreti "Bassanini", siamo già alle prese con l'attuazione della  nuova Costituzione dell'ottobre 2001. Materia assai intricata, tanto è vero  che si è auspicata una "cabina di regia" per definire le più importanti  regole del gioco nei nuovi rapporti tra Stato centrale e Regioni (si sente,  anche in questo caso, la mancanza di un effettivo potere "federale", cioè  una istanza nazionale di composizione delle possibili divergenze di  interessi e di sintesi unitaria delle possibili spinte centrifughe). In  molti hanno criticato l'assenza, nel disegno di riforma costituzionale, di  un "Senato delle Regioni" che, a prima vista, potrebbe apparire un passo più  lungo della gamba "federalista" che siamo disposti a concederci, ma che -a  ben pensarci- rappresenterebbe l'unico antitodo nei confronti di un  eventuale "federalismo corsaro" praticato dalle Regioni più forti. Ma vediamo tecnicamente i contenuti del nuovo dispositivo costituzionale.

Le  competenze in materia di istruzione, tradizionalmente attribuite allo Stato  (anche nella riforma Bassanini), vengono radicalmente ridimensionate alle  sole norme generali (quali poi ?), mentre la materia "istruzione" entra  nella sfera della legislazione "concorrente" di ogni Regione. Il termine  giuridico non evoca però l'idea di una concertazione tra Stato e Regioni  (una sorta di "tavolo" nazionale per condividere le decisioni di interesse  generale). La nuova Costituzione è assai esplicita: la legislazione  "concorrente" implica, comunque, un diritto di iniziativa della Regione, che  non potrà però invadere la sfera dei "principi generali" (riservati allo  Stato) e dovrà salvaguardare l'autonomia delle singole istituzioni  scolastiche. Quest'ultimo passaggio è di estremo interesse perché "costituzionalizza" le  autonomie scolastiche, dando ad esse -seppur indirettamente- una copertura  costituzionale. Anche questo punto ci ricorda dell'importanza della riforma  degli organi collegiali della scuola (organi di partecipazione democratica  ad una istituzione cui si riconosce una esplicita funzione pubblica e non  semplici organi di consulenza cooptati dal "dirigente scolastico" o  privatistici "consigli di amministrazione"). Art. 117 La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto  della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento  comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: . n) norme generali sull'istruzione; . Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: . Istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione  della istruzione e della formazione professionale; . Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà  legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,  riservata alla legislazione dello Stato. A parte l'esigenza di definire ciò che rientra tra i principi o le norme  generali (di spettanza della legislazione statale) e ciò che può essere  invece attribuito con certezza alla legislazione regionale, va segnalato il  dispositivo che consente di rafforzare i poteri delle singole Regioni (anche  in modo differenziato) attribuendo direttamente ad esse funzioni oggi  esclusive dello Stato (e quindi anche le "norme generali" sull'istruzione).  Questa "devolution" caso per caso (cioè regione per regione), deve essere  convalidata con legge dello Stato e sarà comunque da esercitare con estrema  cautela, perché una sua ingenua estensione potrebbe portare ad una totale  differenziazione dei sistemi scolastici delle 20 regioni italiane. Ben  vengano, dunque, le prescrizioni costituzionali di interventi compensativi  ed aggiuntivi per salvaguardare i diritti fondamentali delle persone e  rimuovere eventuali squilibri, anche mediante iniziative surrogatorie e  sostitutive delle eventuali inadempienze locali. I nuovi meccanismi fanno  però presagire una quantità notevole di negoziazioni (e di conflitti) tra  Stato nazionale e Regioni sulla portata dei rispettivi poteri.

Ed anche la  Corte Costituzionale (federalizzata . ?) avrà il suo da fare. Art. 116 .Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le  materie di cui al terzo comma dell'art. 117 [legislazione concorrente] e le  materie indicate al secondo comma.limitatamente alle lettere . n) norme  generali sull'istruzione . [legislazione esclusiva], possono essere  attribuite ad altre Regioni [oltre a quelle attualmente a statuto speciale],  con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata. Art. 119 .La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di  destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. .per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo  esercizio dei diritti delle persone.lo Stato destina risorse aggiuntive ed  effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province,  Città metropolitane e Regioni. Art. 120 .Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città  metropolitane, delle Province e dei Comuni .. quando lo richiedono la tutela  dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei  livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La Costituzione che verrà
Passiamo ora ad un primo esame delle novità che si vorrebbero ulteriormente  introdurre nell'equilibrio dei poteri costituzionali, con la recente  proposta di devolution approvata dal Consiglio dei Ministri il 13 dicembre  2001. Nel testo ipotizzato scompare l'elenco delle materie di pertinenza  esclusiva dello Stato (ricordiamo che tra di esse erano previste le "norme  generali sull'istruzione") ed i poteri legislativi regionali sull'istruzione  da "concorrenti" diventano "esclusivi" (senza bisogno, dunque, di una  concertazione con la legislazione statuale, anche se nei limiti dei  "principi fondamentali" da essa definiti). La terminologia utilizzata nel  testo del disegno di legge si presta, però, a qualche ulteriore  osservazione. I proponenti sembrano aver ridimensionato la spinta verso una  completa "regionalizzazione" dell'iniziativa legislativa in materia  scolastica, riconducendola nell'alveo della "organizzazione scolastica e  gestione degli istituti scolastici" (dicitura che potrebbe ricondurre ad  aspetti organizzativi e gestionali della vita della scuola, piuttosto che ad  elementi di ordinamento). Resta però l'incognita della "gestione" del  personale della scuola.

Alcuni esperti -citiamo tra gli altri Luisa Ribolzi-  sollecitano un passaggio di tali competenze alle Regioni. Anche la derubricazione dell'intervento regionale sui programmi scolastici  (ci mancherebbe.!) alla sola quota relativa agli aspetti "locali" è una  conferma della necessaria prudenza che tutti dovranno assumere in questo  campo: potrebbe entrare in crisi il concetto stesso di identità culturale  nazionale. La quota "locale" del curricolo (che è già prevista nel  Regolamento dell'autonomia) sarà però tutta da negoziare: se si limita al 5  %, al 10 %, al 15 % dell'intero curricolo saremmo di fronte ad una  interpretazione "temperata" del federalismo scolastico, qualora tale quota  si espandesse le prospettive sarebbero assai diverse. Art. 2 (Modifiche all'art. 117 della Costituzione) L'art. 117 della Costituzione è sostituito dal seguente: "La Regione emana  per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi  fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, semprechè le norme stesse  non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre  Regioni: - organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di  formazione; - definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico  della Regione; - .. Nei limiti dei principi fissati nella Costituzione, ciascuna Regione può  attivare la propria competenza legislativa esclusiva per le seguenti  materie: - .. - organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di  formazione; - definizione dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico  della Regione; - ..".

Le garanzie necessarie per evitare lo "spappolamento" del sistema scolastico L'opinione pubblica, in materia di federalismo scolastico, è apparsa assai  cauta. La stragrande maggioranza degli italiani ritiene che l'istruzione  debba continuare ad avere una sua caratterizzazione unitaria e nazionale. E'  diffusa la convinzione che i diritti fondamentali dei cittadini non si  possano territorializzare, cioè farli discendere dall'abitare in una certa  Regione piuttosto che in un'altra. L'istruzione pubblica fonda il senso di  appartenenza, costruisce identità e legami, consolida le radici e la  comunità, ma le deve proiettare in un contesto più ampio che sappia guardare  all'intero paese e, semmai, all'Europa. E' coessenziale ai principi educativi di una società democratica la presenza  e la effettiva disponibilità - tramite la "scuola aperta a tutti"- di un  progetto culturale unitario, ampio e pluralistico. Non si vuole qui difendere una vecchia idea di stato borbonico (ma forse non  c'è più nessun "Stato", nessuna "Repubblica", di cui essere amici ?), quanto  piuttosto esigere che il "bene costituzionale" dell'istruzione per tutti sia  rigorosamente presidiato e tutelato.

Una legislazione "esclusiva" di ogni  singola Regione in materia di istruzione (che diventa possibile, in base ai  meccanismi che abbiamo analizzato essere contemplati nella II^ e nella  ipotetica III^ Costituzione) mette a repentaglio l'unitarietà dei compiti  attribuiti dalla Costituzione (parte I^) alla scuola pubblica del nostro  paese. Se non esisterà più un Bilancio nazionale della Pubblica Istruzione (con  possibilità di meccanismi compensativi tra i diversi territori), se la  gestione del personale della scuola dovesse essere "regionalizzata" (al pari  delle Guardie Forestali), se i curricoli dovessero essere validati da una  autorità locale piuttosto che rispondere a principi di pluralismo  scientifico e culturale, se. Insomma, sono troppi i "se" che si affollano all'orizzonte del federalismo  scolastico: meglio diradare fin da subito le possibili nebbie. Una esigenza  si impone: quando si andranno a definire le nuove regole della "devolution"  sarà bene esplicitare con molta precisione cosa si intende per "norme  generali sull'istruzione" (che restano di competenza esclusiva dello Stato)  e per "principi generali" (entro il cui ambito si dovrà esplicare il potere  legislativo riconosciuto alle singole Regioni in campo scolastico). Sarebbe opportuno, in questa prospettiva "garantista", elencare nel testo  della nuova Costituzione i contenuti di tali norme generali, tra i quali non  potranno mancare: gli ordinamenti della scuola, gli standard di  apprendimento e le forme di verifica, la condizione professionale dei  docenti (formazione, reclutamento, stato giuridico, valutazione), le regole  di partecipazione democratica.

Questa "riserva" potrà garantire tutti i soggetti in gioco contro gli  effetti perversi di un malinteso federalismo. La legislazione "concorrente"  in materia di istruzione non dovrebbe, infatti, limitarsi a cambiare l'  azionista di riferimento del sistema scuola (mettendo la Regione al posto  delle Stato): avremmo un semplice spostamento di competenze o di poteri  sulla scuola, quando invece è da auspicare una crescita di responsabilità e  di impegni verso la scuola. L'enfasi sul "federalismo" (e quindi sui nuovi poteri di Regioni ed Enti  locali) non può far dimenticare il ruolo delle scuole autonome e dello  Stato. Alle scuole compete la responsabilità dell'iniziativa curricolare,  organizzativa e didattica; alle Regioni e agli enti locali l'impegno  "concorrente" per favorire lo sviluppo della scuola (una "concorrenza" per  la qualità, per andare oltre gli standard nazionali); allo Stato -infine- il  compito di salvaguardare i livelli essenziali, le pari opportunità, i valori  comuni (e quindi definire indirizzi e controllare, come bene precisò Sabino  Cassese nella Conferenza Nazionale della scuola del 1990). A questa misura  di saggezza sono attesi i nuovi "costituenti", si spera non in veste di  "apprendisti stregoni".