"REFERENDUM SUL FEDERALISMO"
(Scheda tecnica curata da Antonio
Di Pietro per Italia dei Valori)
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Premesse procedurali e vicende dell’indizione
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L’8 marzo 2001 il Senato ha approvato in "ultima lettura",
a maggioranza assoluta dei componenti, ma senza raggiungere i due terzi
dei componenti stessi, il testo di legge costituzionale che modifica il
Titolo V della parte II della Costituzione (le Regioni, le Province, i
Comuni).
Sul testo è stato richiesto il referendum previsto
dall’art. 138 della Costituzione. Secondo questo articolo, le leggi costituzionali
che registrino in Parlamento un consenso che vada al di là della
"sola" maggioranza dei componenti possono essere sottoposte all’approvazione
del popolo da una minoranza di parlamentari (un quinto dei membri di una
Camera) o un numero qualificato di Regioni (cinque Consigli regionali)
o di elettori (cinquecentomila).
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Il referendum previsto dall’art.138, poiché riguarda
un testo costituzionale, si suol dire appunto "costituzionale", anche per
distinguerlo dal più noto referendum abrogativo "ordinario", previsto
dall’art. 75 della Costituzione e più volte attivato nella storia
repubblicana.
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Il referendum costituzionale è detto anche "confermativo"
e ciò perché il popolo non è chiamato ad abrogare
o meno una legge ma – agendo in positivo – a "confermare" o meno una deliberazione
parlamentare non ancora "legge" (costituzionale).
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Il termine "confermativo" va però letto in due sensi
in realtà opposti. In realtà, mentre il referendum abrogativo
si propone intenti negativi, di cancellazione di un atto già vigente
(per cui lo attiva normalmente chi è contrario alla legge, salvo
rari casi qui ipotizzabili solo in teoria), il referendum ex art. 138 si
rivolge ad un atto non entrato in vigore, e quindi può essere attivato
– in astratto – sia da chi ne chiede il rigetto sia da chi ne chiede la
conferma.
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Ciò è in concreto accaduto con il testo qui
in esame. E’ stata infatti richiesta la sottoposizione a referendum del
testo da parlamentari – della XIII legislatura – sia della maggioranza
sia dell’opposizione, vale a dire, secondo la ricostruzione del dibattito
politico corrente, sia da loro che avevano approvato la riforma (per conferirle
un rafforzamento del consenso), sia da coloro che l’avevano osteggiata
(perché la giudicavano insufficiente). Due richieste per il referendum,
insomma, uguali e contrarie.
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L’elemento di maggior spicco del referendum confermativo,
rispetto alla disciplina del referendum abrogativo è che non c’è
il quorum: quale che sia la percentuale di votanti rispetto agli aventi
diritto al voto (in concreto, anche se vota meno della metà degli
elettori) il risultato sarà deciso dalla maggioranza dei voti validi.
Se dovesse andare a votare anche solo un 30% degli elettori e questi si
dividessero tra un 20% e un 10%, il 20% deciderebbe la sorte del referendum
della legge costituzionale a fronte del 80% di elettori che non hanno espresso
il consenso (il 10% di senso opposto ed il 70% di non votanti). Dunque
se la legge è approvata dalla maggioranza dei voti validi, quale
che sia stato il numero dei votanti, il Presidente della Repubblica procede
alla promulgazione.
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Il testo consta di 11 articoli. Vengono modificati 9 articoli
della Costituzione e 5 articoli vengono interamente abrogati. In caso di
approvazione la Costituzione si "abbrevierebbe" perciò da 139 a
134 articoli. Non è certo che essi verrebbero rinumerati.
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Il quesito è il seguente: "Approvate il testo di
legge costituzionale concernente "Modifiche al titolo V della seconda parte
della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001?"
L’Italia dei Valori risponde ed invita a votare: SI
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Il principio di sussidiarietà
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Un primo elemento di rilievo del testo che viene sottoposto
a referendum è presente nella prima disposizione (art.114.1 novellato):
la Repubblica – si legge – è costituita da Comuni, Province, Città
Metropolitane, Regioni e Stato: in questo ordine. Lo Stato, quindi, è
un componente della Repubblica "al pari" degli altri enti territoriali,
tra i quali entra – per la prima volta con rango costituzionale – la Città
Metropolitana. Lo Stato non è neppure il primus inter pares.
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Il Comune è il primo ente dell’elencazione, cui seguono
gli altri in ordine di ampiezza territoriale crescente. Andare dal Comune
allo Stato è una scelta dettata dall’adozione del principio di sussidiarietà
nella versione "verticale" per il quale, nella accezione più nota,
il livello di Governo più vicino (il Comune) è la regola,
mentre il più lontano (lo Stato) è l’eccezione. Ma quando
(come nell’art. 120.2 novellato) si vuole dare forza costituzionale al
potere sostitutivo dello Stato, legittimandolo ad intervenire "al posto
di" chi è inadempiente o di chi metta altrimenti in pericolo la
sicurezza o l’unità, allora in ordine, per simmetria, si inverte
e si dice che lo Stato può sostituirsi ad organi delle Regioni,
delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni.
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Un’altra particolarità è all’art.118.4 novellato,
una disposizione molto dibattuta, per essere stata ritenuta da taluni insufficiente,
da altri equilibrata in tema di sussidiarietà "orizzontale". Vi
si dice che "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni"
favoriscono l’autonoma iniziativa di cittadini singoli ed associati per
lo svolgimento di attività interesse generale". Il tema è
quello del rapporto tra società ed istituzioni o, se si preferisce,
tra cittadino, o singolo, o gruppo, o privato e pubblico potere. Anche
in questo caso gli enti costitutivi della Repubblica si dispongono in ordine
inverso, come a dire che è lo Stato che – per primo – dovrebbe lasciare
spazio.
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La sussidiarietà, concetto che ha acquistato grande
notoretà, entra tuttavia a far parte della Costituzione non a livello
di principio informatore di carattere generale, almeno dal punto di vista
testuale: essa compare espressamente, infatti, in riferimento alle attività
amministrative (art. 118) ed alla disciplina del potere sostitutivo (art.
120.2).
Gli enti infraregionali, è da notare, non sembrano
ricadere interamente – come cerchi concentrici – nella sfera di pertinenza
regionale.
Va considerato infatti che l’ordinamento istituzionale
di tali enti figura tra le materie esclusivamente statali e che le Regioni
non hanno potere sostitutivo – che spetta allo Stato – su di essi.
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Cosa cambia
Ecco in sintesi come cambia nel capitolo V della seconda
parte della Costituzione:
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Più potere alle regioni. Le Regioni avranno
potere legislativo esclusivo in tante materie: industria, artigianato,
turismo, commercio, formazione, agricoltura, viabilità, ecc.). Un
unico vincolo: attenersi alla Costituzione. In altre materie, come lavoro,
istruzione, sanità, sport, territorio, trasporti, comunicazione,
ricerca, possono legiferare rispettando i principi fondamentali dello Stato.
Allo Stato restano le seguenti materie: Esterni, Interni, Difesa, Tesoro,
Finanze e Giustizia.
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Risorse autonome. I Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di
spesa.
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Solidarietà. Lo Stato istituisce un fondo perequativo
per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
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Sussidiarietà. I Comuni hanno funzioni amministrative,
in quanto governi più vicini ai cittadini. A seguire, Province,
Città metropolitane, Regioni e Stato. I governi locali devono favorire
le iniziative dei cittadini che promuovono attività di interesse
generale.
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Pari opportunità. Le Regioni devono favorire
la parità fra uomo e donna anche nell’accesso alle cariche elettive.
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Altre disposizioni
Molti altri elementi di novità appaiono nel testo.
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Le Regioni conseguono una certa titolarità nei rapporti
internazionali, ma è singolare osservare che l’Ordinamento Comunitario
della Comunità Europea entra quasi indirettamente nel tessuto costituzionale,
nella parte II, quale limite alla potestà legislativa dello Stato
come delle Regioni.
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Il nuovo testo contiene poi una previsione in materia di
c.d. "federalismo fiscale" (l’art.119 novellato) ed elimina sostanzialmente
il sistema dei controlli lasciando il solo controllo della Corte Costituzionale
– attivato dallo Stato o dalla Regione – su leggi comunque già entrate
in vigore, al di fuori, dunque delle fattispecie di controllo preventivo.
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Alle Autonomie "differenziate", alcune delle quali si caratterizzano
per la denominazione bilingue (Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste e Trentino-Alto
Adige/Sudtirol), si applicano immediatamente – per l’articolo 10 (della
legge) – i maggiori livelli di autonomia che il testo conferisce alle Regioni
a statuto ordinario. L’articolo 116 novellato consente che le Regioni a
Statuto ordinario possano raggiungere anch’esse livelli speciali di autonomia.
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La previsione finale – art.11 della legge – rende possibile
che Regioni, Province autonome e enti locali possano partecipare alla Commissione
parlamentare per le questioni regionali. Qualora ciò accada, e si
discuta su progetto di legge in materie ripartite o di finanza regionale,
il parere della Commissione, che ponga determinate condizioni su un testo,
può essere disatteso solo con una deliberazione assembleare di particolare
forza (maggioranza assoluta dei componenti).
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Per chiunque voglia avere una visione più completa
delle modifiche apportate al titolo V della Costituzione si propone un
quadro sinottico nel
"file" allegato alla presente circolare.
Antonio Di Pietro