Progetto Italia Federale

Approfondimenti
a cura di Francesco Paolo Forti
Democrazia Diretta
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 Ultimo aggiornamento: Gennaio 2002
 
Tra Federalismo e Democrazia Diretta c'è un robusto filo conduttore, sia nella storia che nella realtà attuale. Ritengo quindi doveroso aprire uno spazio alla DD in questo sito e mi auguro che i contributi crescano così come cresca la coscienza nei cittadini di una maggiore partecipazione diretta alla scelte democratiche dei paesi in cui vivono. Francesco Paolo Forti
Intervista a Stephan Lausch
Pubblicata sulla rivista "Una Città" del aprile 1999, N.76
Posta Elettronica: unacitta@unacitta.it   Sito Internet: http://www.unacitta.it/

Come nasce l’iniziativa per più democrazia in Sud Tirolo?

Il nostro impegno è cominciato dopo l’incontro con il parlamentare svizzero Andreas Gross, che avevamo invitato all’Ekö institute per una serie di conferenze su che cosa impedisca la svolta ecologica. Noi, infatti, siamo dell’avviso che la politica di per sé è un elemento cruciale nel capire i motivi per cui la svolta non si realizza, dato che ciò dipende anche da una maggior partecipazione dei cittadini alla politica. Così ci siamo rivolti a un parlamentare svizzero, che peraltro è la persona forse più competente sulla democrazia diretta a livello europeo, proprio perché ci raccontasse un po’ le esperienze in quel paese.
Andreas Gross, infatti, è promotore dell’iniziativa “Eurotopia”, un movimento che si batte per l’introduzione, soprattutto nella costituzione europea, di forme e strumenti di democrazia diretta, con la possibilità per i cittadini di decidere, attraverso delibere popolari, sulle questioni che ritengono importanti. Ecco, per noi quell’incontro è stato decisivo per lanciare un’iniziativa a favore dell’introduzione di strumenti di democrazia diretta anche qui in Alto Adige. 
Va subito chiarito che in Alto Adige questo è possibile in base allo statuto di autonomia; l’art. 60 dà infatti alla regione la competenza di regolamentare referendum e proposte di legge popolari. Ma, ripeto, questa è un’opportunità data soltanto alle regioni con statuto autonomo. Qui, comunque, la legge regionale che prevede il nuovo ordinamento degli statuti comunali, con la possibilità della delibera civica a livello comunale, è stata introdotta soltanto nel ‘93 e soltanto in forma opzionale. Quindi il comune può decidere se prevedere la delibera civica, però non è costretto a farlo e, qualora preveda la delibera civica, questa può anche non essere vincolante per il consiglio comunale, ma semplicemente consultiva. Invece, essendo questi statuti una sorta di costituzione per i comuni, i cittadini avrebbero almeno dovuto avere la possibilità di modificare lo statuto in base alle proprie convinzioni ed esigenze.



Tu hai studiato, in particolare, l’introduzione di forme di democrazia diretta in Baviera...

In Baviera, nel ‘95, è avvenuta una votazione popolare che ha portato all’introduzione della delibera civica a livello comunale. Questo è stato possibile in base a una specifica disposizione contenuta nella costituzione bavarese che, appunto, a differenza di quella di tutti gli altri länder tedeschi, prevede l’iniziativa legislativa popolare, anche se con soglie molto alte di accessibilità allo strumento. In pratica i cittadini possono presentare un disegno di legge e poi arrivare a una consultazione popolare, ed è questo lo strumento che è stato utilizzato per introdurre la delibera civica a livello comunale. Questa specificità della Baviera si spiega col fatto che Hoegner, primo ministro della Baviera nel secondo dopoguerra, nel periodo nazionalsocialista era stato in esilio in Svizzera e lì aveva conosciuto la democrazia diretta. Convinto dell’efficacia di questa forma di democrazia aveva fatto in modo che questo strumento venisse introdotto anche nella costituzione varata in Baviera subito dopo la seconda guerra mondiale. 
La soglia di attuazione di tale disposizione, come dicevo, è però pazzesca. Per presentare un disegno di legge sono necessarie, su una popolazione di 10 milioni, 25.000 firme e una volta presentato il disegno di legge è la Corte Costituzionale a valutare se la richiesta è valida o meno. Se viene ritenuta valida, i cittadini devono sostenere ancora una volta la richiesta di votazione popolare, raccogliendo in due settimane l'appoggio del 10% degli aventi diritto al voto, che in Baviera equivale a 870.000 persone.
Nonostante questi impedimenti, però, attraverso un’azione civica i promotori sono riusciti a costruire una rete di promozione della democrazia diretta in tutta la Baviera, con migliaia di persone attive a livello comunale e circondariale, e sono stati in grado di coinvolgere la popolazione a un punto tale che è stato possibile raccogliere in quel breve arco di tempo addirittura il 13% degli appoggi. In due settimane sono infatti arrivati a un milione e 200 firme, e questa è stata la premessa per portare quel disegno di legge alla votazione popolare. 
Nel frattempo c’era stata una controproposta da parte della Dieta bavarese, in primo luogo dalla Csu, che prevedeva anch’essa l’introduzione della delibera civica comunale, ma con un quorum di partecipazione e di consenso, ancora più alto e con difficoltà maggiori nella raccolta firme. Insomma, era facile intuire che non volevano che questa possibilità venisse poi utilizzata. Tutti e due i disegni di legge sono comunque stati portati alla votazione popolare, che c'è stata il 1 ottobre '95, con una partecipazione del 37% degli aventi diritti al voto. Con quella percentuale in Italia il referendum non sarebbe stato valido, invece là il problema del quorum non esiste: vince la maggioranza di coloro che vanno a votare a dispetto della quota partecipativa. La proposta dell’azione civica ha avuto la meglio su quella della Csu, col 63% contro il 34%; e soltanto il 3% non ha voluto saper niente né dell’una né dell’altra proposta. Da allora la delibera civica a livello comunale è entrata in vigore. 
La Baviera, dunque, ha ormai una triennale esperienza ed è quindi un osservatorio molto interessante per capire che uso fanno i cittadini di questo strumento. Infatti, l’iniziativa per più democrazia tedesca, il corrispettivo della nostra, ha seguito fin dall’inizio l’attuazione di questo strumento, rilevando, per esempio, che i cittadini sono più inclini a risparmiare dei propri rappresentanti. All’inizio dare ai cittadini questa possibilità, ossia di poter decidere addirittura sulle imposte, è stato oggetto di varie critiche: “Ma, come è possibile? Così, si rischia di scardinare i bilanci!”, ed invece i cittadini hanno risparmiato circa 30 miliardi di marchi. 
Tra l’altro, sempre in tema di risparmio, l’ultimo atto impressionante, frutto dell’iniziativa legislativa popolare, è stata una votazione popolare con la quale i bavaresi hanno abolito il Senato della Baviera. Questo può forse suscitare qualche perplessità sulla validità dello strumento, ma in realtà il Senato era un unicum nel paesaggio politico-istituzionale della Germania, esisteva soltanto in Baviera ed era un organismo con poca incisività sulla produzione di leggi. L’istituzione decisiva è la Dieta bavarese mentre il Senato era più che altro una zona di parcheggio per vecchi politici, e per qualche personalità di organismi importanti, che venivano appunto parcheggiati lì con una buona paga.
C’era stata comunque una lunga discussione, anche a livello di partiti, sull’abolizione o meno del senato, ma, a causa della Csu, non si era arrivati all’abolizione e così ad abolirlo sono stati poi i cittadini con questo strumento.



Quali sono le tematiche che stanno più a cuore ai cittadini?

Gli argomenti sui quali c’è stata più richiesta di votazione, di espressione della propria libertà, riguardano il traffico, le infrastrutture, i progetti edili e in generale la pianificazione urbanistica. Comunque non ci sono limiti per ciò che può essere sottoposto alla decisione popolare.
A livello comunale, per esempio, la cittadinanza può decidere su tutto ciò su cui ha facoltà di decidere il Consiglio comunale, quindi anche sul bilancio, sui piani urbanistici e così via.
Noi abbiamo anche cercato di capire se la delibera civica viene utilizzata o meno a favore dell’ambiente e abbiamo verificato che in qualche modo le decisioni popolari bilanciano le decisioni di volta in volta a favore o contro l’ambiente. Non c’è quindi una tendenza unilaterale, se si tiene però conto che con questo strumento è stato possibile respingere dei progetti o delle decisioni comunali a sfavore dell’ambiente, allora, in fin dei conti, può ritenersi vantaggioso per una politica ambientalista. Per quanto riguarda, in cifre, l’utilizzo di questo strumento, va notato che nel corso di questi 3 anni ci sono state 360 delibere civiche, che è un numero sicuramente ragguardevole. 
La cosa forse più interessante e imprevista è che molto spesso non si deve arrivare fino alla delibera con l’iniziativa civica, perché il solo fatto che esista questo strumento già modifica la politica: i politici sanno che se prendono decisioni non volute dai cittadini, questi ultimi prenderanno provvedimenti. Quando infatti i cittadini stanno prendendo l’iniziativa a favore o contro un certo progetto, spesso si trovano degli accordi anche prima di arrivare alla votazione popolare e la rappresentanza politica si ritira o modifica la propria decisione. Questo strumento, perciò, ha già una funzione, un potere di cambiamento della politica istituzionale, per il solo fatto di esistere. Su questo abbiamo un esempio anche qui da noi, dove la delibera civica a discrezione del Consiglio comunale è stata introdotta in 114 comuni su 116 (in realtà in Alto Adige è prevista la delibera civica anche nella forma vincolante). 
Nel comune di Caldaro, dove il Consiglio comunale e la giunta avevano espresso l’intenzione di realizzare un parcheggio sotterraneo in zona centrale, è stato sufficiente l’annuncio della raccolta di firme per chiedere la delibera civica perché la cosa morisse. Questo mi sembra un elemento decisivo per l’iniziativa legislativa popolare: i politici cominciano a comportarsi in modo diverso se sanno che i cittadini hanno questo strumento in mano. La prassi politica si modifica in modo abbastanza consistente.



In Italia a che punto siamo?

Mi limito a parlare della nostra iniziativa perché è quella che conosco meglio. Come anche in altre parti d’Europa, l’iniziativa è stata sostenuta dai partiti di opposizione e respinta dai partiti di maggioranza. Quindi sembra che, a prescindere dalla collocazione dei vari partiti, la cosa decisiva sia di essere all’opposizione o al governo. Noi, per esempio, siamo stati sostenuti da partiti differenti -come Solidarietà, che è di sinistra, e da un partito come Alleanza Nazionale, che è al lato opposto-, ma accomunati dall'essere entrambi all’opposizione. 
Mentre un partito come la Svp, che si definisce popolare, che è votata da oltre il 50% dei cittadini, e che quindi non dovrebbe aver paura che la volontà dei cittadini si differenzi dalla sua, non ne ha voluto sapere ed è stata proprio la forza decisiva nel respingere la nostra proposta di legge.
In questa situazione siamo arrivati alla trattazione nel plenum del consiglio regionale e il disegno di legge riguardante il livello comunale è stato respinto, mentre il disegno di legge sull’iniziativa legislativo-popolare, ossia sull’introduzione del referendum deliberativo, per un voto a favore, è stato accettato .
Ovviamente la cosa non era finita lì, perché è il governo italiano che deve porre il sigillo su una legge varata a livello regionale. Due mesi dopo, infatti, abbiamo avuto la notizia che il disegno di legge era stato respinto con la motivazione, abbastanza debole, che la costituzione italiana non prevede -loro addirittura hanno detto “esclude”, ma non è vero- il referendum deliberativo. Questo rifiuto si attaccava al fatto che nello statuto di autonomia la dizione era troppo generica, parlava soltanto della facoltà della regione di fare leggi sul referendum senza specificare se si trattasse appunto di referendum deliberativo o abrogativo. Per cui il governo ha negato al consiglio regionale la competenza a deliberare una legge che prevede l’introduzione del referendum deliberativo. Anche nella seconda trattazione, nonostante avessimo presentato un disegno di legge che prevedeva una forma compatibile con la costituzione attuale, la legge è stata ugualmente respinta. Quella legislatura è finita nel novembre scorso, ma noi abbiamo tutte le intenzioni di andare avanti, anche se a questo punto la situazione è piuttosto complessa e delicata, perché si dovrebbe operare a più livelli, di statuto di autonomia, di costituzione... 
In questa nuova legislatura, comunque, si aprirà per la prima volta una discussione sulla riforma dello statuto di autonomia e tenteremo di mobilitare la popolazione affinché si rafforzi e promuova quell’autonomia provinciale e regionale, che qui è forte ed è una cosa unica, in direzione di un’autonomia civica. 
Fino ad oggi, tutta l’autonomia che i politici sono riusciti in realtà a costruire consiste nell’aver portato a livello regionale, e soprattutto provinciale, competenze originariamente statali, però quella competenza è limitata al blocco istituzionale. 
Non si è voluto, non si è pensato, di trasferire qualcosa di questa autonomia direttamente sul livello civico e così la sovranità popolare finisce nella sovranità delle istituzioni rappresentative. Il nostro intento sarebbe invece quello di rivendicare in questa legislatura l’autonomia civica, soprattutto nella forma delle autonomie comunali. Allo stato attuale, l’autonomia dei comuni in Alto Adige è limitata innanzitutto per quanto riguarda l’autonomia territoriale: la Provincia, per esempio, ha la facoltà di modificare d’ufficio i piani urbanistici, può fare ciò che vuole su un territorio comunale, a prescindere dalla volontà comunale e dai preesistenti progetti. 
L’autonomia dei comuni, poi, è limitata anche perché non possono disporre di sufficienti risorse finanziarie per il loro bilancio: per l’80% dei bilanci i comuni sono dipendenti dalla giunta provinciale, se vogliono realizzare qualcosa devono prima andare dall’assessore competente, che in base alla legge provinciale può dare i soldi o meno; soltanto per il 20% del bilancio i comuni possono decidere autonomamente cosa fare. 
Per questo che vogliamo portare avanti un pacchetto teso a dare più peso politico, più sovranità, più autonomia ai cittadini.
La vittoria dei cittadini in Baviera ha fatto sì che anche in altri länder si siano attuate delle iniziative simili, soprattutto tendenti a ridurre numericamente le soglie poste per l’utilizzo degli strumenti. L’iniziativa bavarese va soprattutto verso l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare a livello statale, della federazione, che adesso prevede, come da noi in Italia, solo il referendum abrogativo. Con la nuova coalizione rosso-verde in Germania forse i tempi si stanno abbreviando; sotto Kohl c’era una chiusura netta di fronte a un richiesta del genere. Nel documento di coalizione è stato infatti messo un punto che riguarda specificamente l'introduzione dell’iniziativa legislativa popolare; questo punto, però, non dà ancora garanzie che lo strumento venga previsto in modo accessibile al cittadino. 
Per questo l’iniziativa continua, mobilitando i cittadini a favore di una democrazia intesa in forma partecipativa, integrativa, diretta. Noi cerchiamo di fare da ponte con l’Italia, ma ho la sensazione che, a differenza dei paesi nordici, in Italia sia molto più considerata l’idea della rappresentanza che non quella della democrazia diretta.
Quando si parla di democrazia diretta si citano la Svizzera, la Germania, e in generale il Nordeuropa, ma quanto conta la collocazione geografica?
In effetti sembra che conti. Ci sono alcuni autori che attribuiscono la maggiore disponibilità verso la democrazia diretta alla religione vigente nei vari paesi, e soprattutto al fatto che le Chiese protestanti non intendono la Chiesa come frapposta tra Dio e la popolazione. Il protestantesimo, infatti, parte dal presupposto che il singolo, uomo o donna, ha la possibilità di comunicare direttamente con l’entità assoluta senza mediazione. Mentre il cattolicesimo pensa proprio l’opposto: gli esseri umani hanno bisogno della Chiesa come tramite verso l’assoluto. Tutto questo ha una corrispondenza nell’idea di rappresentanza politica: i cittadini, il popolo, non sono in grado di gestirsi le proprie sorti. Ci sono i pochi eletti, gli uomini e le donne di facoltà, che riescono a interpretare e a sapere, a mediare la volontà del cittadino e a dettare poi legge.
Questa è sicuramente un’interpretazione interessante, anche se non esaustiva, perché ci si potrebbe allora chiedere come mai il cattolicesimo si è radicato proprio in Italia, in Spagna, nei paesi meridionali... Insomma, non è una spiegazione del tutto soddisfacente.
Questa differenza è comunque un dato di fatto. Per quanto riguarda il caso Svizzera, Andreas Gross ha, secondo me, una spiegazione valida: gli unici stati al mondo ad aver introdotto e realizzato la democrazia diretta sono la Svizzera e gli Usa, i quali non l’hanno introdotta a livello federale, ma a livello di 23 singoli stati. Questi due stati si distinguono per il fatto che prima dell’introduzione della democrazia diretta non hanno conosciuto la monarchia. E la monarchia è stata sicuramente una forma statuale che ha costruito dei sudditi, che non ha permesso che si sviluppasse nei cittadini una coscienza della propria libertà e autonomia.
Gli Usa, poi, forse rispecchiano anche il carattere dei pionieri: gente libera, che andava a costruirsi la propria realtà e che istituiva dal basso le proprie autorità senza la presenza di un feudo, o di una famiglia di monarchi, a tutelare la popolazione e nel contempo decidere quanto doveva essere concesso o negato. In Svizzera la pratica di riunirsi in piazza e votare sulle questioni importanti è esistita fin dai tempi antichi, anche se allora il voto era palese, era una democrazia che non conosceva il voto segreto. 
Comunque, il dato determinante mi sembra sia che in questi due stati non esistevano -come esistevano invece in Francia, dove l’autoritarismo monarchico era molto sviluppato- quegli apparati autoritari che in altri paesi hanno fatto sì che i cittadini fossero portati in qualche modo a delegare la propria competenza, la propria responsabilità. Nella dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, uscita dalla Rivoluzione francese, è stata per la prima volta introdotta l’idea che deve essere il cittadino stesso a dettarsi la legge e che comunque non debba esistere legge che il cittadino non abbia contribuito a formulare. Questo stava scritto nella dichiarazione, poi, però, l’andamento della democrazia ha preso altre vie, il potere è stato preso in mano da piccoli ceti della popolazione che se lo sono gestito nella direzione della democrazia parlamentare.



Oggi qual è la tendenza in corso?

Io credo che oggi ci troviamo davanti alla possibilità, che è anche una sfida, di fare un passo decisivo verso una reale autonomia dei cittadini e non parlo solo di quelli dell’Europa o dell’Occidente: poco tempo fa ho letto che in Brasile ci sono città dove sono i cittadini stessi a farsi il bilancio comunale. Questa tendenza si può scorgere probabilmente un po’ in tutto il mondo, soprattutto nell’ambito dei movimenti di liberazione, anche per il solo fatto che questi popoli stanno cercando di emanciparsi da poteri loro estranei.
Da noi, invece, dove quei problemi non esistono più, si tratta appunto di realizzare la libertà del singolo cittadino. Purtroppo, in Italia non esiste ancora l’idea di una cittadinanza libera, autonoma, contraddistinta dalla facoltà di agire indipendentemente, per esempio dai partiti politici. Questa possibilità, secondo me, sarebbe l’unica vera risposta istituzionale alla situazione ingarbugliata di questo periodo ed è per questo che mi sembra importante parlare di queste esperienze, di luoghi non molto distanti dove già vige tutta un’altra idea di politica e di democrazia. 
Per vivere, la democrazia ha bisogno dei cittadini, non può essere gestita in modo distaccato, come avviene adesso da parte di istituzioni e rappresentanze. 
Il pericolo è che la democrazia cada in discredito per come viene gestita dalle istituzioni e che venga solo la voglia di cestinarla, come sistema che funziona malamente. Ma così come vige adesso, la democrazia semplicemente non è compiuta, va sviluppata ulteriormente, e sicuramente in direzione dell’autodeterminazione dei cittadini.



Hai presente altre situazioni in cui si sta muovendo qualcosa?

Ci sono gli stati dell’Est, gli stati Baltici, che dopo l’abbattimento della cortina di ferro hanno introdotto lo strumento della legislazione popolare. C’è il Portogallo, dove i cittadini hanno acquisito la facoltà di decidere addirittura rispetto a modifiche da apportare alla propria costituzione e iniziative simili sono in atto anche nei Paesi Bassi. In Danimarca e in Svezia, poi, sono stati i cittadini a decidere se far parte o meno della Comunità Europea, cosa che in Italia non è avvenuta. Qui da noi l’argomento generalmente preferito contro l’introduzione di forme di democrazia diretta è: “Ma da noi la popolazione non è matura per utilizzare questo strumento in modo saggio. In Svizzera c’è tutta un’altra cultura che giustifica l’esistenza di questi strumenti...”. 
In realtà non si può far dipendere l’introduzione di questi strumenti dalla valutazione della maturità della popolazione, perché la crescita culturale avviene anche attraverso questi strumenti. Non credo che cent'anni fa, in Svizzera, si potesse parlare di una popolazione più matura di quella italiana attuale. 
Resta il fatto che questo strumento sono sempre stati i cittadini stessi a darselo; non è mai stato concesso dall’alto, ha dovuto essere conquistato dai cittadini stessi. E una volta ottenuto, ha contribuito allo sviluppo di un’altra cultura e maturità. Insomma, noi diamo ai cittadini la responsabilità di decidere sulle proprie sorti affinché si sviluppi anche un senso civico diverso e una cultura politica veramente democratica.



Esiste un problema di limiti da porre all’ambito delle decisioni che possono essere prese con iniziative popolari?

Questa è una questione controversa perché i diritti umani, civili, che tutelano il singolo o una minoranza, una volta acquisiti non possono essere messi in discussione neanche attraverso strumenti di democrazia diretta. 
Questo a livello teorico, ma se vogliamo andare al concreto basta guardare alla Svizzera, dove è a disposizione tutto, non ci sono limiti. Ecco, lì la cosa funziona e anzi proprio lì si vede che i cittadini sono sufficientemente responsabili da poter lasciare loro la facoltà di decidere su tutto. Addirittura credo che i cittadini svizzeri potrebbero introdurre la pena di morte o decidere di espellere tutti gli immigrati, ma sono cose che non avvengono. 
Anche le recenti iniziative che andavano a ledere i diritti delle persone di nazionalità straniera residenti in Svizzera, ed erano finalizzate a chiudere un po’ i confini, non hanno avuto la meglio, non sono state accettate dalla maggioranza della popolazione. Sempre in Svizzera stanno accadendo cose per noi veramente impensabili: adesso è in corso un’iniziativa che mira al dimezzamento del traffico automobilistico nell’arco di dieci anni. 
Immaginiamoci in Italia un’iniziativa tesa a scrivere nella costituzione l’obbligo per la rappresentanza di dimezzare il traffico entro 10 anni! In Svizzera, invece, è un’iniziativa importante, che coinvolge migliaia e migliaia di persone e che nell’anno 2001, credo, sarà portata alla votazione popolare. 
Si può benissimo pensare che non avrà la maggioranza, però, come dicevo, tutte le attività svolte attorno a questa iniziativa stanno già adesso producendo grandi cambiamenti, ben oltre ciò che si sta facendo altrove, per esempio in Italia, per risolvere questo problema.
Insomma, vere discussioni a livello pubblico, sensibilità sociale, senso civico sono molto maggiori là dove i cittadini possono esprimersi direttamente.